«Troppi antibiotici, è allarme infezioni»
SANITÀ. Il direttore di Malattie infettive: «In corsia tra il 5 e il 10 per cento di ricoverati si infettano con germi patogeni presenti nelle sale operatorie o negli strumenti». Il prof. Concia: «Nei pazienti isolati ceppi di batteri che non rispondono alle normali cure per colpa dell'abuso e del cattivo uso di quei farmaci. Siamo molto preoccupati» Verona. Ammalarsi in ospedale. Rischiare di morire a causa di un'infezione contratta in sala operatoria o durante un esame strumentale. Un evento che colpisce - statistiche ufficiali alla mano - dal 5 al 10% dei ricoverati negli ospedali italiani. E Verona non fa eccezione. Una percentuale che non si riesce a abbattere, nonostante le campagne di sensibilizzazione rivolte al personale medico e paramedico e l'adozione di sempre più sofisticati sistemi di sterilizzazione dell'aria e degli strumenti chirurgici nelle sale operatorie.
CEPPI PERICOLOSI. Rispetto al recente passato, però, qualcosa è cambiato. In peggio. Al punto che il professor Ercole Concia, direttore di Malattie infettive e responsabile dell'Osservatorio epidemiologico di infettivologia dell'Azienda ospedaliera universitaria, non nasconde la sua «grande preoccupazione per un fenomeno che non è solo veronese, ma mondiale».
A creare ansia negli infettivologi sono alcuni ceppi batterici - responsabili di gran parte delle infezioni ospedaliere - isolati nei degenti. «Sono resistenti agli antibiotici», spiega il prof. Concia, «e quindi non sappiamo come curare queste infezioni, che sono in prevalenza a carico dell'apparato respiratorio.Paradossalmente, oggi è più facile curare una setticemia di una polmonite».
ABUSO E MALUSO. Cosa è successo? L'analisi di Concia è spietata: «Medici e pazienti debbono fare mea culpa. Sono stati prescritti e assunti antibiotici in maniera scriteriata, in assenza delle necessarie complicanze cliniche e questa è la conseguenza. Un dramma mondiale, destinato a peggiorare perchè le aziende farmaceutiche non investono più in ricerca, con la conseguenza che per i prossimi dieci anni non avremo nuovi antibiotici con cui sconfiggere i batteri».
Batteri che in fin dei conti hanno seguito l'ordine delle cose, ossia si sono attrezzati per resistere all'assalto degli antibiotici. Mentre l'organismo umano, di contro, perde la sua capacità di resistere alle infezioni.
ANTIBIOTICORESISTENZA. Con il passare del tempo, in parole semplici, i batteri hanno offuscato il successo degli antibiotici modificando il loro patrimonio genetico per mutazione oppure acquisendo in blocco da altri batteri geni che conferiscono resistenza. «In un mondo che fa largo uso di antibiotici», si legge sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità, «non solo in terapia umana, ma anche in zootecnia e in medicina veterinaria, popolazioni batteriche antibiotico resistenti si sono rapidamente selezionate e diffuse sia in comunità che in ambito ospedaliero, rendendo problematico il trattamento antibiotico e trasformando l'antibioticoresistenza da un fenomeno di studio in un problema di sanità pubblica».
VECCHI FARMACI. «I ceppi batterici che ci fanno dannare», conferma il prof. Concia, «non sono più di 4 e per curarli abbiamo a disposizione 2-3 antibiotici di vecchia generazione, che stiamo riciclando con alti dosaggi. Ma nei soggetti deboli c'è poco da fare. Se non arrivano nuovi farmaci, la sfida si fa difficile». P.COL.
fonte:http://www.larena.it/stories/dalla_home/322345_troppi_antibiotici__allarme_infezioni/
CEPPI PERICOLOSI. Rispetto al recente passato, però, qualcosa è cambiato. In peggio. Al punto che il professor Ercole Concia, direttore di Malattie infettive e responsabile dell'Osservatorio epidemiologico di infettivologia dell'Azienda ospedaliera universitaria, non nasconde la sua «grande preoccupazione per un fenomeno che non è solo veronese, ma mondiale».
A creare ansia negli infettivologi sono alcuni ceppi batterici - responsabili di gran parte delle infezioni ospedaliere - isolati nei degenti. «Sono resistenti agli antibiotici», spiega il prof. Concia, «e quindi non sappiamo come curare queste infezioni, che sono in prevalenza a carico dell'apparato respiratorio.Paradossalmente, oggi è più facile curare una setticemia di una polmonite».
ABUSO E MALUSO. Cosa è successo? L'analisi di Concia è spietata: «Medici e pazienti debbono fare mea culpa. Sono stati prescritti e assunti antibiotici in maniera scriteriata, in assenza delle necessarie complicanze cliniche e questa è la conseguenza. Un dramma mondiale, destinato a peggiorare perchè le aziende farmaceutiche non investono più in ricerca, con la conseguenza che per i prossimi dieci anni non avremo nuovi antibiotici con cui sconfiggere i batteri».
Batteri che in fin dei conti hanno seguito l'ordine delle cose, ossia si sono attrezzati per resistere all'assalto degli antibiotici. Mentre l'organismo umano, di contro, perde la sua capacità di resistere alle infezioni.
ANTIBIOTICORESISTENZA. Con il passare del tempo, in parole semplici, i batteri hanno offuscato il successo degli antibiotici modificando il loro patrimonio genetico per mutazione oppure acquisendo in blocco da altri batteri geni che conferiscono resistenza. «In un mondo che fa largo uso di antibiotici», si legge sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità, «non solo in terapia umana, ma anche in zootecnia e in medicina veterinaria, popolazioni batteriche antibiotico resistenti si sono rapidamente selezionate e diffuse sia in comunità che in ambito ospedaliero, rendendo problematico il trattamento antibiotico e trasformando l'antibioticoresistenza da un fenomeno di studio in un problema di sanità pubblica».
VECCHI FARMACI. «I ceppi batterici che ci fanno dannare», conferma il prof. Concia, «non sono più di 4 e per curarli abbiamo a disposizione 2-3 antibiotici di vecchia generazione, che stiamo riciclando con alti dosaggi. Ma nei soggetti deboli c'è poco da fare. Se non arrivano nuovi farmaci, la sfida si fa difficile». P.COL.
fonte:http://www.larena.it/stories/dalla_home/322345_troppi_antibiotici__allarme_infezioni/
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